Origini e storia dell'Asilo di Daverio

 

- Giüsep, Giüsep te sentü la nuvità?
- Sa ghé da bel…
- A vegnì a cà da gesa evan dre a dì ca fan l’Asilo chi a Devé…
- Ah, si?
- Questa le na gran bela roba, l’eva üra; urmoi anca in di oltar paes in dre a verdal, ma… te set sücüra? Chi la diseva?
- L’eva la dona dul Celest du la Selveta; a l’eva anca drè a digh a la Maria da Dubià che ul don Cazzaniga a le d’acord, anzi a le stai lü cal se dai da fa par fa vegni i suor dul Piemunt…
- Ah… sa lè insci al vör di cal fan davera! E sculta, in du al faresan l’Asilo?

- In d’un curtil in scima dul paes, o mia capì ben quale a lè, ma al dev ves lì di port dula geseta…

- Ah! Finalment a ga varem püse temp par la campagna… Cun tüt quel ca ghe da fa!


Questa, con un po’ di fantasia, potrebbe essere stata la conversazione in una casa di Daverio alla notizia dell’imminente “nascita” dell’Asilo.
Allora il dialetto, a differenza di oggi, si usava comunemente sia in casa che fuori e soltanto quando si andava in città “scappava” qualche parola d’italiano.
E’ bene pertanto “tradurre” per le nuove generazioni il senso di questa breve conversazione tra marito e moglie la quale, ritornando dalla Santa Messa, aveva sentito la moglie del Celeste della Salvetta (uno dei tanti cortili in paese) dire alla Maria della frazione di Dobbiate, che, in un cortile vicino alla chiesina di Santa Maria, si stava per procedere all’apertura dell’Asilo con il beneplacito del parroco di allora Don Francesco Cazzaniga (bella figura di sacerdote rimasto a Daverio dal 1895 al 1936); anzi, era stato proprio lui a darsi da fare per realizzare l’opera con l’aiuto delle suore che aveva invitato dal vicino Piemonte.
Correva l’anno 1906 e anche i paesi vicini si apprestavano a dotarsi di tale servizio sociale, a quei tempi tutt’altro che diffuso.
Per meglio comprendere il divario rispetto ad oggi, dobbiamo dire che allora la vita era spesso massacrante, sia per i numerosi contadini che per gli operai in fabbrica. Il lavoro infatti superava abbondantemente le 10 ore giornaliere. I contadini avevano un bel daffare a vangare, seminare, fare il fieno, raccogliere il frumento da trebbiare, tagliare il bosco, procurare lo strame per il bestiame etc.; Non da meno erano le donne, che dovevano badare non solo all’andamento della casa ma spesso anche alla stalla, spazzando il letame, rifacendo il giaciglio agli animali, dando loro il fieno fresco prelevato in cascina, attingendo acqua dal pozzo per tutti i bisogni familiari.
Altri compiti erano quelli di fare la spesa e di portare da mangiare agli uomini in campagna per non far perder loro tempo per il ritorno a casa.

L’acqua veniva attinta dai pozzi presenti nei vari cortili ed i servizi igienici “il cesso” erano sistemati
all’esterno ed erano in comune con altre abitazioni. Molti non sapevano cosa fosse una vasca da bagno o una doccia; ci si lavava semplicemente nel catino o in una vasca da bucato.
Poiché i mezzi di trasporto, carrozze e carri, erano trainati da animali, questi lordavano le strade e le piazze dei loro escrementi. A tutto ciò si aggiungeva la scarsissima igiene e l’assenza quasi totale di medicinali, comunque tutt’altro che efficaci se paragonati a quelli di cui oggi disponiamo; ciò rendeva più breve la vita di tutti.
C’erano persone che, a causa di malattie, soprattutto respiratorie, passavano tutto l’inverno nelle stalle, al caldo che emanavano gli animali; infatti le camere non erano riscaldate e per non sentire il freddo delle coltri s’usava la “bolla” con l’acqua calda, il mattone messo a scaldare nel forno della cucina economica, o il cosiddetto “prete” (aggeggio di legno a forma di arco con lo scaldaletto contenente le braci del camino all’interno).
Gli ospedali civici erano disertati dai ricchi (che andavano nelle cliniche private) oltre che mal illuminati (non c’era ancora la corrente elettrica); erano luoghi mal attrezzati, dove si ricoveravano solo i poveri ed i reietti.
Le famiglie “onorate”, eccezion fatta per i casi di interventi chirurgici, si vergognavano di portare i loro cari in ospedale, perché sottrarsi al dovere di assistere un familiare nella propria dimora era considerato un disonore. I figli nascevano a casa con l’assistenza delle levatrici e con scarsissima attenzione all’igiene.
Proprio le numerosissime gravidanze complicavano l’esistenza delle famiglie più umili, cosicché il tempo e i soldi non bastavano mai.
Ecco allora spiegato come mai la nascita dell’Asilo fosse benvenuta, “una gran bela roba” come giustamente diceva il “Giüsep”; poiché dei figli si sarebbero presi cura le suore per tutto l’arco della giornata con compiti non solo di sorveglianza ma anche di educazione, di conseguenza sarebbe aumentato, per gli altri membri della famiglia, il tempo per svolgere le numerose incombenze quotidiane che prima abbiamo rapidamente elencato.
La cronistoria dell’Asilo attraverso i documenti del tempo, pur non essendo sempre di facile comprensione per via della mancanza di molti e importanti dettagli, consente comunque di
tracciare un quadro abbastanza fedele degli inizi.
Ma vediamo cosa ci dicono queste “carte”.
I primi accenni relativi alla necessità di provvedere ad un asilo in Daverio, risalgono ad un documento manoscritto, ritrovato negli archivi del Comune e datato 30.11.1904, nel quale il sindaco di allora Ing. E. Bossi chiedeva alla Commissione Centrale di Beneficenza della Cassa di Risparmio delle Province Lombarde “perché nel riparto delle somme disposte per i comuni mancanti di asilo, venga ricordato anche il Comune di Daverio (…) da più anni è sentito in questo Comune il bisogno di istituzione di un asilo infantile, ma per mancanza di mezzi non fu mai possibile mettere in attuazione il desiderato intento.
Tale richiesta era motivata dal fatto che a quei tempi la Cassa di Risparmio gestiva dei fondi speciali denominati “Fondo di Beneficenza Umberto Principe di Piemonte” e “Fondo Garibaldi” appositamente creati per “promuovere l’istituzione di Asili infantili nei comuni rurali che ne sono sprovvisti, mediante assegnazione di sussidi da pagarsi però quando l’Asilo fosse aperto e venisse data la prova che esso potrebbe funzionare regolarmente almeno per un triennio”.
Il documento invece che menziona chiaramente l’anno (purtroppo non la data) di partenza dell’Asilo, lo troviamo nello Statuto, deliberato in data 16.12.1956, dal Comitato Amministrativo dell’Ente Comunale di Assistenza di Daverio “ECA” che recita testualmente :
“L’Asilo Infantile di Daverio è sorto nel 1906 per interessamento del Molto Reverendo Parroco don Francesco Cazzaniga, con la collaborazione della popolazione del comune”.
E’ sottinteso che la collaborazione fosse anche quella fornita dal Comune di cui alla citata lettera
del 1904; tuttavia, non potendo fornire alla Banca sufficienti garanzie alla normativa richiesta
per la concessione dei sussidi di cui sopra, don Cazzaniga, che era uomo d’azione, si diede da fare per far comunque decollare l’Asilo in attesa di tempi migliori.
Si intuisce quindi che i primi anni erano a funzionamento “provvisorio”; appena il Comune avesse confermato alla Banca di rientrare nei richiesti parametri per la concessione dei sussidi, l’Asilo sarebbe rientrato a pieno titolo nell’elenco delle strutture infantili aventi diritto alle suddette provvidenze.
I parametri richiesti erano: garanzia di funzionamento per almeno tre anni, un’insegnante qualificata, una sede appropriata, un preventivo annuo di spesa, il numero esatto di bambini frequentanti la struttura, la disponibilità di materiale didattico, l’erezione in Ente Morale o in lternativa la gestione da parte della Congregazione di Carità del Comune.
Tale operatività e quindi ufficialità si raggiunse solo nel 1910; un documento datato 15.11.1910 e sempre a firma del Sindaco, confermava infatti alla citata Cassa di Risparmio che l’apertura ufficiale dell’Asilo datava 15.10.1910, che era frequentato da 64 bambini dai 3 ai 6 anni e che l’amministrazione era affidata alla Congregazione di Carità, già attiva a Daverio da alcuni decenni.
Da allora, finalmente, si ebbe diritto all’erogazione dei sussidi.
Infatti la Banca, in data 22.04.1911, rispondeva che “preso esame della prodotta documentazione, ha autorizzato il rilascio della somma di lire 3.000 stanziata da questo Fondo di beneficenza Umberto Principe di Piemonte, giusta nota N 5156 di questa amministrazione in data 12 aprile 1905 diretta al Sindaco di Daverio.
In parole povere: le lire 3.000 promesse nel 1905 potevano essere riscosse, dietro presentazione di opportuna documentazione, solo nel 1911.
Successivamente, di anno in anno, veniva regolarmente erogato un sussidio in base alle disponibilità dei fondi citati e delle necessità che la Congregazione di Carità si premurava di
segnalare alla Cassa di Risparmio.
Va detto, e di ciò esiste ampia e dettagliata documentazione, che nei primi anni di vita l’onere era a carico dei possidenti daveriesi (infatti le prime sedi dell’asilo erano state ricavate nei locali di famiglie facoltose), poi dei benestanti e di altri benefattori; grazie al frutto di lotterie svoltesi nelle varie ricorrenze religiose e civili, si ricavò poi altro denaro utile all’istituzione.
Successivamente, con l’evolversi dei tempi, alla Congregazione di Carità, subentrava nel 1956 l’ECA (Ente Comunale di Assistenza) che gestiva l’Asilo fino al passaggio
di questi, nel 1962, ad Ente Morale.
Da allora tutta la gestione, fin qui garantita dal Comune, passava direttamente all’Asilo con un
proprio Consiglio di Amministrazione.

Il resto…. beh, è storia di oggi; la gestione dell’Asilo è stata affidata a un Ente Morale costituitosi nel 1964. Nei suoi archivi non ci sono purtroppo documenti delle gestioni precedenti e quindi la ricostruzione di una significativa parte della sua storia è difficile.